Anche in questo mese di luglio appena trascorso ho fatto il mio viaggio in Tanzania, ad Ipogolo, il quarto da quando nel settembre 2004 è partito il progetto sanitario “Un Cuore per Ipogolo”. Ogni volta e come se fosse la prima se scruto le emozioni sempre più forti che vivo e la milionesima se ripenso ai sorrisi, agli sguardi, all’intensità dei saluti di piccoli e grandi.
Ogni volta che arrivo sento battere forte il cuore perché so che gioia è rincontrarli, rivederli e passare con loro le giornate, dare il mio tempo, portare i frutti di quel lavoro, non sempre facile, fatto in Italia per loro. Sento anche tutto il peso della loro sofferenza fisica e mi chiedo cosa posso fare ; l’AIDS sta decimando un’intera popolazione, non lascia scampo a giovani e meno giovani e altre patologie meno gravi ma altrettanto letali si aggiungono a rendere il quadro generale preoccupante e disastroso. Ogni volta mi pongo la stessa domanda: cosa posso fare, cosa devo fare? L’unica risposta che trovo è: devo continuare. Devo essere una goccia, perché anche una goccia porta il proprio contributo alle grandi e sterminate acque dell’oceano.
Quest’anno l’esperienza ha avuto del nuovo e del diverso. Siamo partiti dall’aereoporto di Roma Fiumicino in sei : mio marito Giovanni, Paride cardiologo presso l’ospedale Vannini di Roma, Stefania e Claudia specializzande in cardiologia all’Università La Sapienza di Roma, Suor Zina suora nella Comunità Cristiani nel Mondo ed io. La nostra conoscenza si è intensificata “ strada facendo” e siccome di strada bisogna farne tanta ( circa due giorni) al nostro arrivo alla missione S. Joseph House di Ipogolo eravamo già un gruppo affiatato e in armonia con molto in comune e poche differenze. Sembrava ci conoscessimo da sempre!!!
Il viaggio aveva permesso di familiarizzare e pianificare quanto, nei pochi giorni a disposizione bisognava fare per usare al meglio il tempo e come operare. Giovanni da bravo capogruppo aveva predisposto con l’aiuto di chi vive sul posto, suore e sacerdoti, le missioni da raggiungere e le persone da visitare e la dott.sa Mara cardiologa bresciana che aveva operato ad Ipogolo nei mesi di aprile e maggio per conto del progetto “ un cuore per Ipogolo” aveva già evidenziato casi particolari e difficili allestendo una lista di pazienti che andavano valutati con esami più approfonditi. Tutto ciò ha reso immediatamente operativo il gruppo.
Durante il soggiorno il grosso del lavoro è stato raggiungere quante più persone possibili, andando in villaggi lontani e usando il metodo del “ passaparola” durante la liturgia della domenica grazie alla collaborazione instancabile dei sacerdoti che si sono fatti portavoci e collaboratori preziosi e insostituibili. Pur senza comunicazione di massa, l’informazione e la possibilità di uno screening cardiologico è arrivato ai destinatari e a tutti quelli che volevano e potevano usufruirne. Tranne i primi due giorni che si è lavorato al dispensario di Ipogolo per il resto del tempo siamo andati in giro percorrendo circa 2000 chilometri e raggiungendo villaggi molto disagiati non solo perché ai “confini del mondo” ma perché al di sotto di una “ povertà accettabile” , una povertà che ci rendeva ancora più pallidi di quanto già non fossimo e lasciava loro in una dignità inimitabile. Il susseguirsi di tutte queste emozioni , condivise da tutto il gruppo, ci faceva rimettere in macchina per il ritorno alla missione più carichi che stanchi e più “vicini” di come eravamo partiti la mattina. Non servivano molte parole, parlavano i nostri silenzi e i nostri sguardi e varcando la soglia di casa avvertivamo la gioia di condividere la cena o il pranzo che andavano preparati. Anche nel cibo abbiamo trovato una perfetta assonanza di gusto, pomodoro in tutte le “salse”, frutta abbondante e pane tostato hanno allietato la nostra tavola e i nostri appetiti. Non servono lunghe conoscenze, non servono grandi obiettivi, non servono infinite pianificazioni serve la semplicità del dare ciò che si ha rendendo gli altri meno poveri e arricchendo un po’ più noi stessi. Questo è quanto ogni volta tornando porto con me in Europa : una nuova ricchezza fatta di sorrisi, di sguardi, di canti , di gioia , di grazie, di serena attesa. Una ricchezza che spesso dimentico quando rincorro le troppe banalità da cui mi lascio attrarre e di cui il mondo evoluto di cui faccio parte è pieno.
Il constatare come ognuno ha dato il meglio di quello che aveva e ha fatto quanto poteva per dare una mano ha reso tutto più bello, più semplice del previsto e ha consolidato la convinzione , che da tre anni portiamo con noi : tutti siamo chiamati a cambiare le cose se l’obiettivo che portiamo nel cuore è il “ Bene “ dell’altro.
Margherita La Rocca